La pubblicità che conta è quella intelligente, utile e non necessariamente “ricca”
Pubblicitario, creativo, introverso e molto pacato Tom Mc Elligott fu per la pubblicità degli anni ’80 un faro nella notte. Spiegare la sua pungente arguzia e il suo ruolo educativo non è di certo una cosa facile, ma vi prometto che cercherò di farlo. Qualcuno non avrà mai sentito parlare di McElligott, ma ritengo sia da un lato doveroso e dall’altro innegabile riconoscergli oggi un ruolo di primo ordine tra i pubblicitari e i creativi che anno fatto la storia di questo settore. Perché? Le motivazioni sono molte, anzi moltissime; per questo ti consiglio di leggere l’articolo fino all’ultima parola.
Breve bio di Tom McElligott
Figlio di protestanti, Tom McElligott arrivò alla pubblicità portando nelle sue campagne la sua indole riservata e una arguzia mentale particolarmente pungente. Fin dai primi lavori comprende l’importanza del ruolo del consumatore, al punto di sostenere: Preferirei di gran lunga sopravvalutare l’intelligenza del consumatore piuttosto che sottovalutarla.
Non ebbe mai bisogno di far parlare della sua persona, al punto di rilasciare pochissime interviste ai media dell’epoca, ma non fatevi ingannare dalle mie parole: McElligott era feroce come un leone quando doveva sostenere le sue ragioni.
Collaborò dapprima con Ron Anderson nella Bozell & Jacobs dove il ventisettenne McElligott imparo il mestiere e inizio a collezionare riconoscimenti grazie anche ai clienti di primo piano che Anderson gli chiese di seguire.
Nel 1981 fondò la “Fallon McElligott Rice” che lasciò sul finire degli anni ’80, quando cioè la società fu investita dal turbinio delle fusioni che caratterizzarono Madison Ave in quegl’anni. Non si conoscono i veri motivi di questa decisione, qualcuno sostiene che lasciò la società per divergenze creative, altri per questioni economiche; sta di fatto che nel 1988 McElligott esce di scena.
Nel 1991 entrò nella Hall of Fame dei pubblicitari e fondò a Minneapolis la sua seconda agenzia: McElligott Wright Morrison White. Questo esperimento fallì in fretta, soprattutto a causa dell’inappetenza aziendale nei confronti della pubblicità, quasi ad anticipare quel diluvio digitale che da li a poco avrebbe investito l’intero comparto. Nel 1993 McElligott lasciò il mondo pubblicitario definitivamente: aveva meno di 50 anni. Non ha mai scritto saggi, né partecipato attivamente a corporazioni et similia. Di lui si sa solo che credeva nel lavoro, e cito: Conta solo il lavoro. Alla fine, se lavori bene, le persone lo noteranno e tu otterrai quello che vuoi. Ecco tutto.
Celeberrima fu la sua campagna per Rolling Stone: “perception vs reality” in cui il pubblicitario si interroga tra le aspettative di una generazione e la realtà alla quale quella stesa generazione si è piegata.
McElligott: Credo nella pubblicità che ti fa sudare le mani
Già nel periodo in cui affiancò Anderson il giovane McElligott schiarì le idee a tutti dichiarando di essere più interessato ad interessare che a stupire: quasi a voler chiarire l’intimo rapporto del McElligott pubblicitario in relazione ai suoi clienti.
Nel 1986 con una celeberrima dichiarazione, una delle poche, Tom eresse un monumento al bisogno: È quella pubblicità che le agenzie di solito esitano a presentare per proteggere il loro budget. È quel tipo di pubblicità che fa sudare leggermente il palmo delle mani, che ti rende un po’ nervoso. Ecco, questa è l’unica pubblicità che vale la pena di produrre.
Non ha senso, quindi, per McElligott parlare di altro se non del concetto di utilità che tanto sta a cuore a chi investe in un messaggio e che, al contempo, tanto attira potenziali interlocutori. Parlando del suo lavoro egli sostiene di poter essere utile a quei clienti che vogliono superare la concorrenza con l’intelligenza e non con gli investimenti.
Nota è la sua capacità di avvicinarsi alle persone mediante l’uso di una sagace critica sociale: egli, infatti, riesce sempre a cogliere i bisogni e le paure dell’uomo medio e trasporli in messaggi universali.
Perché è utile la lezione di questo pubblicitario? Ci aiuta a comprendere pienamente che se non ci curiamo dei bisogni delle persone in primis e, quindi, anche del budget pubblicitario del nostro cliente non ha senso alcun viaggio comunicativo. Già. 40 anni fa esisteva qualcuno che si interessava al bisogno del pubblico per offrirgli messaggi interessanti. Esempi ispirati ai quali riferirsi per comprendere meglio questa tecnica pubblicitaria ne potremmo citare a centinaia, tra tutti ho deciso di citare un “vicino” maestro: Oliviero Toscani per Benetton.
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Rosser Reeves | Reality in Advertising
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